Biografia

 
– Nato a Genova il 13.2.1913, vive dalla prima infanzia a Cavriago (RE).
– Laureato in giurisprudenza il 18.11.1934, all’università di Bologna, prosegue gli studi a Milano.
– Professore incaricato (dal 1942) e poi di ruolo (dal 1947) nella facoltà di giurisprudenza dell’università di Modena.
– Presidente del CLN provinciale di Reggio Emilia dal dicembre 1944, fino a dopo la liberazione.
– Eletto deputato alla Costituente, è membro della commissione dei 75 per il progetto di Costituzione (I sottocommissione) e quindi del comitato dei 18 per la redazione finale della stessa.
– Eletto il 18.4.48 per la DC alla prima Camera dei Deputati, ricopre vari incarichi nel partito per poi lasciare la vita politica e dimettersi da deputato il 16.7.1952.
– Ottobre 1952: fonda il Centro di Documentazione, poi Istituto per le scienze religiose di Bologna, un gruppo di giovani studiosi per il rinnovamento della Chiesa.
– Settembre 1955: insieme ad alcuni membri del Centro inizia, ancora laico, la Piccola Famiglia dell’Annunziata, comunità religiosa in cui vivrà fino alla morte.
– Su forte e imprevista pressione del cardinale Lercaro si candida a sindaco per Bologna (1956) e, sconfitto, resta in Consiglio comunale fino al 1958.   
– Ordinato sacerdote il 6 gennaio 1959, partecipa come “perito” di Lercaro al Concilio Ecumenico Vaticano II.
– Si muove nelle case della sua comunità religiosa, con lunghe permanenze in Terra Santa. Dal 1984, su invito dell’arcivescovo, fissa la casa madre della Comunità a Montesole, nei luoghi della strage nazifascista del 1944.
– Nel 1994 fonda i Comitati per la difesa della Costituzione.
– Muore a Monteveglio il 15.12.1996
 

Enrico Galavotti

Giuseppe Dossetti. Un profilo

 
Gli anni della formazione – All’Università Cattolica del Sacro Cuore – La svolta della guerra e l’impegno politico – La linea di Dossetti e il contrasto con De Gasperi – La crisi della Chiesa e il Concilio – Dossetti e il Vaticano II – Il silenzio e la Parola

Gli anni della formazione

Giuseppe Dossetti nasce a Genova, in una famiglia della piccola borghesia, il 13 febbraio 1913. Pochi mesi dopo la sua nascita la famiglia si trasferisce a Cavriago, un piccolo paese della provincia reggiana e qui Giuseppe, insieme al fratello Ermanno (1915-2008), compie gli studi elementari e riceve la prima istruzione religiosa.
Cresce in un ambiente segnato dalla dura lotta tra i ceti moderati e liberali e il Partito socialista, che in tutta la pianura reggiana sta acquistando il consenso dei ceti rurali e il governo delle amministrazioni locali. Fondamentale, in questi primi anni di vita ma non solo, è la figura della madre, religiosissima, che segue da vicino l’educazione cristiana dei figli e che intuisce l’importanza di fornire loro un esempio concreto, mettendosi a disposizione dei concittadini più bisognosi di aiuto. È proprio in questi anni che Dossetti inizia a maturare una forte sensibilità verso il tema della povertà, che è la condizione comune a molti suoi amici e conoscenti; ed è sempre a Cavriago che respira e fa proprio la dimensione della socialità, cioè dell’importanza del vivere inserito all’interno di una comunità.
La buona riuscita negli studi induce la famiglia a favorire il percorso di studi di Giuseppe. Frequenta così il liceo classico a Reggio Emilia e nel 1930, con l’immediata prospettiva di diventare avvocato, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Modena. Questi sono anche gli anni in cui la formazione religiosa di Dossetti riceve impulsi decisivi. Entra in contatto con alcune eminenti figure del clero secolare e religioso reggiano (mons. Leone Tondelli, p. Daniele da Torricella) e compie la più classica esperienza dell’adesione all’Azione Cattolica diocesana.  Ma cosa più importante di tutte fa la conoscenza di un giovane sacerdote, don Dino Torreggiani (1905-1983), che ha ricevuto dal vescovo l’incarico di dirigere l’oratorio cittadino di San Rocco: una struttura che arriva ad accogliere ogni giorno centinaia di giovani, per lo più provenienti dalle classi più povere e disagiate della città. Dossetti si impegna a fondo nella gestione di questo oratorio e stringe un importante rapporto di direzione spirituale con don Torreggiani, che per primo gli prospetta la possibilità di una consacrazione della propria vita.

All’Università Cattolica del Sacro Cuore

Nell’autunno 1934 Dossetti inizia il suo periodo di perfezionamento giuridico all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Entra in contatto con padre Agostino Gemelli e con monsignor Francesco Olgiati e aderisce ai Missionari della Regalità, il sodalizio che unisce con una forma di consacrazione personale numerosi docenti dell’Ateneo. Gemelli segue da vicino questo giovane, perché ne intuisce la maturità spirituale e la grande capacità di lavoro e gli affida il delicatissimo incarico di redigere una Memoria da inoltrare alla Santa Sede per favorire il riconoscimento canonico delle associazioni assimilabili ai Missionari della Regalità: inizialmente respinta, tale memoria verrà più tardi recepita da Pio XII nei documenti dedicati agli Istituti secolari. A Milano, accanto ad un intensissimo impegno di ricerca, Dossetti approfondisce la sua maturazione spirituale, al punto di decidere di lasciare il sodalizio di Gemelli per evitare ogni possibile contaminazione tra carriera universitaria e impegno di consacrazione. In questi anni riceve forti impulsi spirituali da due figure con le quali stabilisce un rapporto profondo, ancorché di qualità differente: da un lato il monaco-arcivescovo Schuster, del quale Dossetti apprezza particolarmente lo spirito ascetico unito ad una capacità di immersione profonda nella vita della Chiesa, che occasionalmente lo mette anche in contrasto con i fascisti; dall’altro Giuseppe Lazzati, anch’egli docente alla Cattolica, che ha deciso di dare vita a una propria associazione di laici consacrati del quale entrerà a far parte lo stesso Dossetti.

La svolta della guerra e l’impegno politico

Lo scoppio della seconda guerra mondiale segna un discrimine importante nell’impegno politico-sociale di Dossetti, il cui percorso rispetto al fascismo è stato sino a questo momento sostanzialmente omogeneo a quello della quasi totalità dei cattolici italiani. Organizza insieme ad alcuni docenti della Cattolica alcune riunioni clandestine in cui viene discusso il futuro dello Stato italiano post-fascista prendendo spunto dai radiomessaggi di Pio XII. Durante questi incontri matura una dura condanna dello Stato liberale, colpevole anzitutto di una storica latitanza nei confronti dei problemi sociali e soprattutto incapace di comprendere ed arginare il fenomeno fascista. Nella fase conclusiva del conflitto Dossetti decide di impegnarsi ancora più direttamente agendo all’interno delle formazioni partigiane, occupando posti di grande responsabilità. Proprio lui, che nel frattempo aveva maturato la decisione di farsi sacerdote, si trova suo malgrado ancora più coinvolto nell’ambito politico. In precedenza si era espresso contro la nascita di un partito cattolico e si trova nel giro di pochissimo tempo ad esserne un esponente di punta prima nella Consulta e poi nell’Assemblea Costituente, dove gioca un ruolo determinante come membro della Commissione dei 75 incaricata di redigere il testo della Carta fondamentale dello Stato italiano: il suo impegno costituente è ricordato in modo particolare per la menzione nel testo della Carta dei Patti Lateranensi, sancita anche dal voto favorevole del PCI di Togliatti col quale Dossetti aveva lavorato gomito a gomito nella Costituente.

La linea di Dossetti e il contrasto con De Gasperi

Crescono le sue responsabilità anche all’interno del partito, sino ad essere nominato vice-segretario e membro del Consiglio Nazionale; ma con queste aumentano anche i contrasti sulla linea politica da seguire. Attraverso la rivista Cronache Sociali (1947-1951) Dossetti lascia emergere le sue idee sugli obiettivi del Partito e sulla funzione ultima dello Stato: vuole una Democrazia Cristiana impegnata in una vasta riforma sociale e che dia un orientamento conseguente alla politica economica, mettendo fine a quella vera e propria latitanza dello Stato che era stata causa di sciagure sociali e politiche sin dalla formazione dello Stato unitario; vuole anche un partito capace di muoversi con autonomia sia rispetto ai condizionamenti internazionali derivanti dalla Guerra Fredda, sia rispetto alle indebite intromissioni della gerarchia cattolica (le definirà «invincibili» e «indicibili») nell’ambito della politica italiana.
I rapporti con De Gasperi, pure contraddistinti da un fondamentale rispetto reciproco, si fanno via via più tesi. Dossetti medita l’abbandono della politica già nel 1948, ma un ordine diretto di papa Pacelli lo fa ricandidare. Anche il dibattito sull’adesione dell’Italia al Patto Atlantico lo vede distinguersi dalla maggioranza democristiana: è perfettamente consapevole di cosa spinge il Governo italiano all’adesione alla NATO, ma intravede il rischio che, come già era accaduto in passato, la politica estera italiana finisse per essere banalmente appiattita sulle posizioni delle nazioni più forti, in questo caso gli Stati Uniti, tralasciando di allargare la rete di relazioni con i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo, cosa sulla quale si trova in piena sintonia con l’amico Giorgio La Pira. Il gruppo che si riunisce intorno a Dossetti ottiene vittorie importanti (la riforma agraria, la Cassa per il Mezzogiorno), ma la resistenza interna al partito, sempre più incline a un moderatismo che va riducendosi all’immobilismo, resta forte. È il momento in cui Dossetti, colui che più aveva cercato di porre un argine alle ingerenze ecclesiali, viene accusato di «integralismo»; anche l’accusa di «cattocomunismo» muove dalla schizofrenica insofferenza di chi non condivide la sua scelta fondamentale del confronto con le forze politiche di ispirazione marxista, che pure raccolgono il voto di quasi la metà della popolazione italiana.
A questo punto Dossetti, che pure mantiene un largo seguito tra i più giovani iscritti al partito, decide di interrompere il suo impegno politico, perché non vuole in alcun modo essere la foglia di fico che copre un’azione politica che condivide sempre meno; soprattutto non vuole in alcun modo ingannare i tanti che continuano a credere in lui e a dargli fiducia. Emerge in modo sempre più netto la sua dimensione più profonda di uomo votato al rinnovamento e in alcune riunioni private manifesta chiaramente la convinzione che in Italia era mancata, da parte di chi ne aveva la responsabilità, una seria riflessione sull’essenza più profonda del fenomeno fascista: non come banale esercizio di erudizione, ma come profilassi per impedire che il paese incappasse di nuovo, seppure in altre forme, in tale fenomeno.

La crisi della Chiesa e il Concilio

Quando nel 1952 Dossetti interrompe il suo impegno parlamentare lo fa esattamente muovendo dalla consapevolezza che per incidere in modo efficace nella vita civile occorresse preoccuparsi anzitutto di un serio processo di studio ed approfondimento della congiuntura ecclesiale. È per questo che fonda a Bologna, insieme ad alcuni giovani amici che lo seguivano da alcuni anni, il Centro di Documentazione, iniziando in tal modo ad adempiere ad un compito di ricerca storico-teologica che ormai da decenni le università italiane avevano abbandonato.
Anche la sua vita spirituale conosce una nuova importante svolta e assieme ad alcuni dei giovani del Centro dà vita a quella che più tardi diventerà una vera e propria famiglia religiosa, la Piccola Famiglia dell’Annunziata. Intreccia un rapporto profondo, di vera e propria obbedienza filiale, con il cardinale Lercaro, che gli chiederà, sconvolgendo nuovamente la sua vita, una nuova stagione di impegno politico a livello amministrativo, che si concluderà definitivamente nel 1958, quando Dossetti giudicherà irrinviabile la sua scelta di consacrazione sacerdotale. Dossetti, che già da alcuni anni parlava apertamente della grave crisi in cui versava il cattolicesimo, aveva individuato nello studio dei concili, che sempre si erano rivelati un fattore rigenerante per la vita dell’ecumene cristiana, un nucleo fondante di questa nuova stagione di ricerca personale e la sua opzione si rivela improvvisamente attualissima nel momento in cui Giovanni XXIII, in modo del tutto inatteso, annuncia la decisione di convocare un nuovo concilio, il Vaticano II. Il Centro di Documentazione di Bologna realizza un volume che raccoglie tutti i testi delle decisioni dei precedenti concili e Lercaro chiede a Dossetti di assisterlo come perito durante i lavori conciliari, incaricandolo anzitutto di seguire da vicino le attività di un gruppo animato da un sacerdote francese, Paul Gauthier, che stava approfondendo, seguendo un’indicazione venuta da Giovanni XXIII, il tema della Chiesa dei poveri.

Dossetti e il Vaticano II

Proprio perché intuisce la eccezionalità del momento, Dossetti dedica tutto se stesso ai lavori del Vaticano II, favorendo in ogni modo la presa di coscienza dei vescovi che il Concilio era una occasione straordinaria per riuscire a conseguire quelle riforme che molti invocavano da decenni dal punto di vista disciplinare, liturgico ed ecumenico. Con la sua decisione, Giovanni XXIII aveva infatti soprattutto offerto alla Chiesa la possibilità di ripensare profondamente il percorso compiuto nell’ultimo mezzo secolo, al fine di abbandonare la tradizionale inimicizia con cui essa guardava al mondo moderno e di liberare il cattolicesimo da quell’attivismo a tutto campo che aveva finito per relegare in secondo piano la coscienza dell’azione dello Spirito nella storia dell’umanità. L’attenzione di Dossetti verso l’evento conciliare muove da una consapevolezza profonda, già espressa secoli prima da un canonista di rango quale era stato il cardinale Bellarmino: e cioè che se un concilio non era più importante o potente di un papa quando esercitava le sue funzioni da solo era in ogni caso una celebrazione in cui era presente più grazia. Da dietro le quinte, e non senza suscitare irritazione in chi immaginava un Concilio dedicato esclusivamente a ribadire le condanne degli errori moderni, Dossetti giocherà così un ruolo di eccezionale importanza, intervenendo particolarmente sull’elaborazione della costituzione sulla chiesa Lumen Gentium e sul decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus; darà quindi un contributo fondamentale per la rielaborazione del regolamento del Vaticano II e per la definizione della formula di approvazione delle decisioni conciliari.
Concluso il Vaticano II, Dossetti si dedicherà immediatamente a un attento processo di analisi dei documenti conciliari e proprio nella costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium individuerà il testo che riassumeva l’intero corpus conciliare. Era una convinzione apparentemente paradossale, se si considera che si trattava del primo testo approvato dal Vaticano II, quando ancora mancavano più di due anni alla fine dei lavori. Ma Dossetti aveva ben presente sia il lungo cammino del movimento liturgico che stava alle spalle di questo testo sia il suo vero tema: e cioè il Cristo sempre presente nella sua comunità attraverso l’atto liturgico. Dossetti, forse presagendo le forti resistenze alla riforma liturgica che si andava preparando, ha guardato da subito alla Sacrosanctum Concilium come ad una «cornice», cioè come ad un documento che i padri del Vaticano II, in modo intenzionale ed intelligente, avevano lasciato aperto, limitandosi ad indicare alcuni grandi principi ai quali altri avrebbero dovuto dare applicazione. L’espansione e l’efficacia della costituzione sulla liturgia – e di conseguenza la fedeltà della gerarchia ecclesiastica nei suoi gradi più elevati al Vaticano II – si sarebbe misurata nel modo in cui tali principi sarebbero stati concretizzati nelle differenti comunità cristiane, per le quali se restava unico lo scopo dell’atto liturgico era necessario e logico immaginare differenti modalità di realizzazione, senza sterili immobilismi, arretramenti o ancora più ingiustificabili uniformismi.

Il silenzio e la Parola

Nella seconda metà degli anni Sessanta Dossetti si troverà impegnato in prima persona nel processo di ricezione conciliare della diocesi di Bologna e dopo la traumatica conclusione dell’episcopato di Lercaro concentrerà la sua attenzione sulla vita della propria famiglia religiosa. Questa scelta in ogni caso non lo distoglierà mai dalla sua profonda passione per una intelligenza delle vicende civili e religiose del suo tempo. Il contatto con il continente asiatico, e in particolare con la Terra Santa dove si insedieranno alcuni fratelli e sorelle della Piccola Famiglia dell’Annunziata, si rivelerà proficuo per una rinnovata consapevolezza delle sfide poste al cristianesimo. In lui si rafforzava sempre più una idea maturata già negli anni Quaranta e cioè la necessità di guardare al futuro abbandonando per sempre ogni nostalgia del regime di cristianità che aveva a lungo plasmato la vita del cattolicesimo.
Dopo un lungo periodo di silenzio, durante il quale aveva insediato la sua comunità a Monte Sole, nei luoghi in cui si era consumato l’eccidio di Marzabotto, riprenderà la parola in pubblico per lanciare un duro monito sulle nefaste conseguenze della I Guerra del Golfo (1990-91), addebitando agli Stati Uniti la grave responsabilità della radicalizzazione dell’integralismo islamico e il rischio conseguente della scomparsa del cristianesimo dall’intera regione mediorientale. A fronte dell’assordante silenzio dei vertici della Conferenza Episcopale Italiana, alzerà di nuovo la voce nel 1994, all’indomani della vittoria elettorale del Polo delle Libertà e del Buongoverno, per criticare le pericolose velleità di riforma costituzionale da parte di una maggioranza che includeva un partito secessionista e che non aveva ricevuto alcun mandato popolare per modificare la Carta fondamentale dello Stato.
Muore il 15 dicembre 1996, circondato dai fratelli e dalle sorelle della Piccola Famiglia dell’Annunziata. A chi, poco tempo prima, gli chiedeva lumi su ciò che si andava preparando per la vita dei cristiani aveva lasciato un preciso avvertimento: «In futuro non avremo più il conforto dei piccoli nidi sociali, delle ultime nicchie che facevano un certo tepore. Di fronte alle difficoltà dovremo esclusivamente contare sulla Parola del Signore, sull’Evangelo riflettuto, meditato, assimilato. Siamo destinati a vivere in un mondo che richiede la fede pura e nuda».
 
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